Lunga coda e grande
commozione al Policlinico militare del Celio dove per tutto il pomeriggio di domenica è stata allestita la camera ardente di Matteo Miotto il giovane alpino di 24 anni morto il 30 dicembre in Afghanistan con un colpo d'arma da fuoco sparato da un cecchino mentre era di guardia nella torretta di avvistamento. Tra i primi ad entrare nella cappella dell'ospedale militare, dove è stata posta la bara avvolta dal tricolore, la madre , la signora Annna dal Ferro e papà Francesco insieme a Giulia, la fidanzata di Matteo. "Era uno dei migliori - dice il tenente Andrea Trevison - aveva la montagna nel sangue. Era uno dei suo sogni quello di diventare alpino e prendere tutte le specializzazioni da alpiere. Ci era riuscito , superando il corso d'addestramento a pieni voti. Il suo ricordo - continua l'ufficiale e amico di Andrea - è quello di una persona sempre allegra e gioviale, con un grande spirito di sacrifico e di altruismo , metteva il prossimo sempre prima di sé". La morte di Matteo Miotto "è stata
immediata e causata da un solo colpo di arma da fuoco", secondo il rapporto di Paolo Arbarello, il medico legale che ha eseguito l'autopsia sul cadavere. Di conseguenza, aggiunge il medico, "per lui non c'era nessuna possibilità di sopravvivere". Quanto all'equipaggiamento Arbarello ha osservato che era "assolutamente adeguato, c'erano tutte le protezioni adeguate, è stata una circostanza assolutamente sfortunata".
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