Alpino ucciso, La Russa: "Non un cecchino ma un gruppo d'insorti"

L'uccisione del caporal maggiore Matteo Miotto, avvenuta il 31 dicembre nel Gulistan, in Afghanistan, si è verificata "nel corso di un vero e proprio scontro a fuoco. Non si è trattato di un cecchino isolato ma di un gruppo di insorti, non sappiamo quanti esattamente, che avevano attaccato l'avamposto". Lo ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa, da Herat, in visita al contingente italiano in Afghanistan. Il ministro ha poi aggiunto che "all'attacco degli insorti, durato parecchie decine di minuti, ha risposto chi era di guardia, con armi leggere e altri interventi, e a questi si è aggiunto anche Miotto che, da una prima ricostruzione, faceva parte di una forza di reazione rapida e per questo era salito sulla torretta a dare manforte ai colleghi". Matteo Miotto, ha inoltre spiegato il ministro, "ha avuto il tempo di accorgersi di quello che stava accadendo e ha gridato 'mi hanno colpito' prima di perdere conoscenza". E' stato un colpo "sparato da un fucile di precisione degli anni '50 di fabbricazione sovietica a ucciderlo, il 'Dragunov', negli ultimi tempi usato dagli insorti, e reperibile anche al mercato nero di Farah". Ciò è testimoniato "dalla pallottola che ha colpito Miotto e che è stata rinvenuta all'interno della sua mimetica". Quanto alla dinamica dello scontro, il ministro ha precisato che Miotto "era intervenuto a sostegno di un altro militare di guardia nella torretta, con quest'ultimo si alternavano nel rispondere al fuoco, e quando uno sparava l'altro si accovacciava. E' stato proprio in questa posizione che il caporal maggiore italiano è stato colpito. Subito dopo è stato richiesto anche un intervento di un aereo americano che è riuscito a disperdere gli insurgens".

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