La Procura di Milano ha aperto un fascicolo per omicidio volontario (al momento contro ignoti), ma indaga su tutte le ipotesi, in merito alla morte di Imane Fadil, la modella marocchina di 33 anni, testimone chiave nell'inchiesta sul caso Ruby. La donna,
deceduta il primo marzo scorso, dal 29 gennaio era ricoverata alla clinica Humanitas di Rozzano. Un mese di agonia per Imane che però, sottolineano in ambienti giudiziari, durante il ricovero "è rimasta sempre vigile" e ha confidato a parenti e amici di essere stata avvelenata. Intanto i pm milanesi hanno ascoltato in Procura il direttore sanitario della clinica. Il medico è stato convocato come persona informata dei fatti. Nei giorni scorsi erano stati ascoltati altri responsabili della clinica milanese. Dalle analisi sul corpo di Imane Fadil risulta "un'elevata presenza di cadmio e antimonio" e sono in corso verifiche sulla potenziale radioattività. E' stata riscontrata anche la presenza di molibdeno, cobalto, cromo urinario e cromo del sangue. L'autopsia potrà stabilire con certezza le cause del decesso. Non si esclude comunque che la giovane sia morta per una malattia rara. Di certo, sempre da quanto è stato riferito, la 33enne durante il ricovero presentava i sintomi tipici dell'avvelenamento: ventre gonfio e dolori all'addome. A riferire il decesso della teste ai pm era stato il suo avvocato, che aveva anticipato la comunicazione dell'ospedale.
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