Morire al buio, nella disperazione propria e dei propri compagni di sventura. In attesa di un soccorso che non arriverà mai. In mezzo a questa catastrofe, alcuni fecero in tempo a scrivere drammatici e commoventi biglietti di addio. E' in questi particolari
raccapriccianti che si riassume la tragica vicenda del sottomarino russo Kursk, un lanciamissili con armamenti nucleari, orgoglio della Flotta del nord, affondato nelle acque del mare di Barents il 12 agosto 2000. Ci furono 118 morti in quegli abissi gelidi. L'agonia di 23 di quegli uomini (gli altri erano morti subito) fu vissuta in diretta da tutto il mondo e in particolare dalla Russia per sette lunghissimi giorni (9 dall'affondamento). La storia del Kursk fin da subito fu avvolta nei misteri e nelle bugie che portarono a ritardi nei soccorsi, probabilmente fatali per i poveri marinai intrappolati in fondo al mare. Dapprima l'incidente non fu nemmeno comunicato al mondo, anche se i servizi di intelligence dei paesi occidentali avevano registrato qualcosa di anomalo accaduto nel mare di Barents e che aveva a che fare con il nucleare. Il Kursk si inabissò per sempre la mattina del 12 agosto, mentre le autorità di Mosca lo fecero sapere solo il 14, dicendo peraltro che l'affondamento risaliva al giorno prima. L'ufficializzazione della notizia in quei termini creò apprensione per le possibili conseguenze di un'esplosione radioattiva e soprattutto per il non detto. I russi si affrettarono a smentire pericoli di qualunque genere, e quasi subito finirono per incartarsi con i soccorsi che non seppero o non poterono portare all'equipaggio.
Fonte: ANSA
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